Antonio Lenio “salentino”: un poeta alla corte di Ugento

Il blog che racconta il Salento, i suoi fantastici luoghi, le tradizioni e gli eventi!

Antonio Lenio “salentino”: un poeta alla corte di Ugento

antonio lenio "salentino"

Antonio Lenio “salentino”. Di lui non sappiamo molto, se non che forse è nato a Parabita, che segue i Del Balzo e la loro “causa” sino agli ultimi istanti, che forse era innamorato di una delle figlie dei Del Balzo, cioè di Antonia.

Uomo di profonda cultura umanistica, nato tra il 1470 ed il 1475, entra in contatto a Napoli con i migliori letterati del tempo: Giovanni Pontano, Dragonetto Bonifacio, Antonio Donato Acquaviva…solo per citarne alcuni. Sì, perchè anche il nostro Meridione d’Italia ha avuto il suo umanesimo. Ed anche Ugento e la penisola salentina hanno avuto il poema epico – cavalleresco, fatto di amori, declamazioni, duelli, spasmi, virtù ed onore: il poema in questione si chiama “Oronte Gigante”, scritto proprio da Antonio Lenio.
Antonio Lenio “Salentino”, come lui amava definirsi, nel 1517 entra a servizio di Francesco del Balzo, conte di Ugento e di Castro, alla cui figlia Antonia dedica l’Oronte Gigante, pubblicato poi a Venezia nel 1531.

Questo poema si compone di tre libri, per un totale di 1900 ottave; un epigramma in latino è dedicato dal Lenio alla Del Balzo, e poi ancora un sonetto con dedica sempre ad Antonia “che passeggiava nel lito Ogentino de chi lo padre tien la Signoria” in questi versi del libro I, canto 6, Antonio Lenio parla di Antonia Del Balzo, figlia di Francesco e di Brisia Carafa… ci accenna alle spiagge di Ugento, evidentemente già rinomate per il loro incanto e per la loro tranquillità già nella prima metà del Cinquecento. Antonia Del Balzo aveva conosciuto il Lenio alla corte di Ugento, dove il poeta era andato a vivere trasferendosi forse da Parabita. Ed a tal proposito, è bene ricordare che in una delle cellette monacali, che costituivano l’allora Convento di Santa Maria della Pietà realizzato ad Ugento proprio dai Del Balzo – oggi è sede del Museo Civico di Archeologia – durante i lavori di restauro delle stesse sono venuti fuori degli affreschi, parzialmente conclusi. Si tratta di scene molto particolari in un contesto conventuale: un “fonte della vita”, alberi, animali, figure femminili imponenti in abiti cinquecenteschi, coppie di uomini nudi che duellano, una figura femminile nuda che si copre il seno e le parti intime e, in ultimo, di un castello.

Considerato che le scene dei nudi in particolare o i duelli non sono scene proprie di un frate francescano, ma che con tutta probabilità siano affini a chi aveva familiarità con contesti cavallereschi, potremmo ipotizzare che questi cicli siano stati realizzati (o fatti realizzare) da un ospite stabile del convento, magari appunto da un letterato e che questo letterato possa trattarsi di Antonio Lenio, che in forma didascalica ed allegorica descrive una “summa” del suo Oronte Gigante e, contestualmente, anche i luoghi di ambientazione dello stesso, alcuni dei quali caratterizzanti Ugento, al quale il nostro poeta dedica ampi versi della sua opera. I Del Balzo quindi conoscono Lenio, lo portano ad Ugento nel nostro Castello e qui conosce la “divina Antonia”, che allietava con la sua bellezza e freschezza la corte di Ugento “Non  che nata fusse in quel confino chè non vien da mortal genealogia” ci dice Lenio, alludendo alle origini mitiche dei Del Balzo e quindi di Antonia, discendente secondo la tradizione da uno dei Re Magi, Baldassarre appunto.

Museo Archeologico di Ugento, ex Convento di Santa Maria della Pietà. Abbozzi di affreschi che narrano de “L’Oronte Gigante

La lettura di questi canti doveva comunque allietare Antonia in quel di Ugento: è lo stesso Lenio a dircelo, nel sesto canto del secondo libro “la bella storia che diletta e piace ad Antonia” ed ancora “che non per mio piacer, ma per servire a chi servir’ è mio sommo piacere, l’inclita Antonia, desio in Rime dire, con quel che Tu mi aspirarai sapere, di franchi Paladin per loro ardire, fatti immortal come vuol dovere”. Il fine e dotto poeta; la donna angelica e bella a cui è dedicata l’opera; una nobile famiglia che vanta ascendenze bibliche e in qualche modo legata alla nascita di Cristo; un lembo di terra del Salento che piace ed incanta come pochi..insomma, il mix è pronto per essere servito ad un vasto pubblico: l’Oronte Gigante, che narra della guerra tra Teodoro e Dario, tra Sciiti e Persiani intorno alla città di Troia. Due Re, che combattono per una donna, Berenice figlia del re di Troia. Due principi, comandanti di eserciti contrapposti: Orlando e Rinaldo, “Franchi Paladini” per l’appunto, cugini tra di loro ed a loro volta nemici ed avversari anche in amore, per la mano di Angelica. La narrazione c’è tutta; il poema cavalleresco anche; l’approvazione di Antonia Del Balzo anche.

Benedetto Croce nei suoi “Aneddoti di varia letteratura” defininì il poema di Antonio Lenio Salentino come “tra i libri di cavalleria, uno dei più rari”. Purtroppo per Lenio ed Antonia Del Balzo la bella favola, l’ozio letterario, il respirare i profumi della terra ugentina e del suo mare stanno per volgere al termine: due anni prima della pubblicazione dell’Oronte Gigante, cioè nel 1528, gli spagnoli conquistano il Salento ed il Sud Italia…è l’inizio dell’esilio per Francesco, Antonio e per tutti i Del Balzo che invece avevano appoggiato i francesi in lotta con gli stessi spagnoli per il controllo di questa parte della nostra Penisola.

I Del Balzo fuggono da Ugento a Ragusa, portandosi il loro poeta prediletto. La corte ugentina ripara poi a Roma, dove il nostro Lenio lascia i suoi signori per andare a Venezia, dove darà alle stampe il suo capolavoro e dove morì in epoca imprecisata, forse in povertà. Su di lui e sulla sua opera calò l’oblio e la damnatio memoriae dei nuovi padroni spagnoli del Sud Italia. Antonia invece andrà a Mantova, ospite della principessa Isabella di Capua e quindi in Sicilia, dove sposerà Ambrogio Santapao, principe di Butera e marchese di Nicosia: si spense poi a Napoli, ma volle che il suo corpo venisse seppellito in Sicilia.

Lenio scrisse di sè “non ho scritto meglio, meglio perché non lo so, se lo sapessi meglio, meglio queste cose sarebbero state scritte per me“: un atto di modestia verso se stesso ed il suo pubblico, a chiudere con dei versi scritti in latino la sua opera – per noi almeno – migliore.
Ho voluto raccontare di questo poema, di come sia legato alla mia Città e, si parva licet, anche indirettamente all’intero Salento: lui stesso preferisce chiamarsi, firmarsi come “Antonio Salentino”, invece di Lenio; descrive, menziona con occhi meravigliati le bellezze di Ugento; rende fortunata Antonia, che se fosse vissuta nella nostra epoca, dove tutto è “fast”, dove se scrivi più di tre righe in un post “sei lungo”, non avrebbe trovato forse nessuno a declamarle versi, a guardarla con occhi di ammirazione ed a dedicarle un intero poema di tre libri e trentaquattro canti in ottave, prima magari di “dichiararsi” in maniera sentimentale…e forse lo faccio perchè sarebbe bello sentire ancora la voce di Antonio Lenio, una sera d’estate nei giardini del Castello di Ugento o sulla spiaggia delle Fontanelle, cantare questi suoi versi alla “divina ed angelica” Antonia.

Angelo Minenna

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Wordpress Social Share Plugin powered by Ultimatelysocial