“Nessuno mi avrà!” – Mammalie di Ugento, luglio 1537

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“Nessuno mi avrà!” – Mammalie di Ugento, luglio 1537

In 12 anni, ho raccontato questa leggenda decine e decine di volte: turisti, curiosi, persone innamorate…ogni volta devo dire, quando penso ad una fanciulla che si getta nel vuoto, innamorata ed in preda al dolore della perdita di un amore, vedendo il suo uomo bruciare lentamente arso dal fuoco, “me mpizzane i carni” ed ho una specie di magone.

Devo anche dire, però, che l’ultima volta che questa storia l’ho raccontata unicamente una persona speciale, non più tardi di tre mesi fa, è stata forse quella volta in cui ne è valsa veramente la pena. Ed in cui il magone non lo avevo, ascoltando dopo la sua voce e guardando i suoi occhi di sfuggita…

Il contesto è quello del perenne conflitto tra Turchi e Salentini.

Non è passato poi tanto dall’agosto del 1480 e dai ben più noti e tragici fatti di Otranto.  Qui, invece siamo nel luglio del 1537, una nave turca attracca al largo di Torre San Giovanni. Il capo corsaro vede una fanciulla ugentina, forse una pastorella. S’invaghisce, vuole possederla. Non sappiamo se per forza o volontà, o per entrambe, ma fatto sta che i due vengono beccati proprio mentre ardono di passione. Il turco viene lapidato e forse bruciato. Dell’ugentina, non abbiamo notizia alcuna. Questa la storia

Il mito, invece…

Il mito, invece, ci è stato tramandato da Sofia Codacci Pisanelli e Salvatore Zecca, entrambi ugentini ed insigni cultori di storia locale. Il principe di Trebisonda è un fiero comandante e pirata turco. Il pascià Lustembai gli affida il compito di conquistare il Salento Trebisonda salpa con l’intenzione di sottomettere e fare schiavi gli ugentini…l’Impero, la sua Fede, la sua Patria prima di ogni cosa.

Sbarca nei pressi di quella che oggi viene chiamata Isola di Pazze – altro luogo fortemente simbolico ed intriso di storie importanti non solo per Ugento, ma per l’intero Salento. Monta l’assedio. Gli ugentini si arroccano nella Torre delle Mammalie, potente bastione difensivo, che sbarra la strada verso la Città agli Ottomani.

“Erkekler saldiri emrini bekliyor, komutan.” Avrà sicuramente detto un fedelissimo soldato a Trebisonda. Il principe ordina l’attacco alla torre. Vengono lanciati contro i turchi proiettili, sassi, pece, olio bollette. A guidare la difesa è una donna però: lo si capisce dalla chioma castano chiara che fuoriesce da un elmo d’oro. 

E’ Ortensia, la figlia del massaro delle Mammalie.  I due s’incrociano sul campo di battaglia senza riconoscersi e cercano di colpirsi. Ma qualcosa, invece, una volta che la fanciulla si tolse l’elmo colpì il turco…un altro tipo di freccia, non meno dolorosa quanto dolce, rispetto a quella che Ortensia col suo arco scaglia sui turchi.

Trebisonda ordina la sospensione di ogni attacco. E si mette a cercare quella chioma, quel viso, quegli occhi…

Gli incontri ci sono, ma non sono dei migliori: Ortensia non ne vuole sapere di avere una tresca con un turco, con un nemico della sua gente. E poi, è già promessa sposa ad un ugentino.

Qualche giorno dopo i due s’incontrano nei pressi del Terenzano. Il turco ha gli occhi dell’amore, amore che confessa alla bella ugentina, la quale – finalmente – si lascia ammaliare e convincere da Trebisonda.

Una sera però…

Trebisonda fa un ulteriore passo: dopo essersi baciati, dice ad Ortensia: “sai, io ti amo veramente. Voglio vivere in pace, tra la tua gente e con te. Vorrei che tu fossi mia moglie.” Ortensia è felice ed al tempo stesso sbalordita: cosa penserà la sua famiglia? Ed il suo popolo? E il suo “promesso”? 

Ma Ortensia è innamorata di Trebisonda, del comandante dei Turchi: si fa coraggio, parla della sua relazione alla sua famiglia ed alla sua gente. Sbigottimento, lacrime, urla e disapprovazione di tutto il popolo ugentino. Alla fine, le solenni parole del padre: “se veramente ami il turco, e lui ama te conducilo qui domani sera nella torre. Faremo una festa in vostro onore. E così sia.”

“Padre, grazie” dice Ortensia con gli occhi lucidi di commozione.

“Però, il comandante dei turchi deve venire da solo. E disarmato.”

Ortensia corre dal suo amore. Non ci crede: una insana gioia la pervade. Riferisce tutto questo a Trebisonda, ed i due si preparano alla serata in loro onore.

Tutto è strano intorno alla torre. Troppi fuochi e poche luci. Molto vino e poco pane. E quei drappi rossi tutt’intorno, sulle mura, sul portone…e quelle danzatrici…sorridono, ma stringono pugnali tra le mani…

“Perchè?” pensava la fanciulla ugentina…

Arrivati al centro dell’androne delle Mammalie, Ortensia viene allontanata. I sorrisi diventano ghigni malefici. Gli occhi degli ugentini sono velenosi e spiritati…quelli della famiglia di Ortensia e del suo promesso sembrano quelli di mille diavoli…

“Ascoltatemi ugentini! Io non sono turco, ma di Trebisonda! Amo Ortensia e voglio vivere con lei. E per voi mi batterò in futuro…liberatemi, vi supplico, e viviamo in pace! Farò ogni cosa mi ordinerete di fare, pur di vivere col mio amore”.

“Noi non sappiamo che farcene di stranieri che diventano schiavi e potrebbero ribellarsi un domani a noi, giovane turco. Noi i nostri prigionieri li bruciamo vivi”, disse il padre di Ortensia.

Lei si dimenava, voleva liberarsi dalle mani dei suoi compatrioti che la stringevano forte. Voleva andare ad avvisare i turchi: “venite, il comandante è in pericolo…salvate il mio amore, vi prego!”…così avrebbe voluto urlare.

“Un forno è pronto. Un forno per il comandante!”. Dissero la madre di Ortensia ed altre donne col viso trasecolato.

Trebisonda non ha scampo: catturato, legato e bruciato vivo nel grande forno che serviva per la cottura del pane…

Ortensia, di soppiatto, si libera. Nessuno si accorge di lei. Tutti sono intenti a ridere ed a ballare ed a gridare: “brucia il Turco, brucia”.

“Ortensia! Ortensia dov’è?” chiese la madre ad un certo punto…non la videro: pazza di dolore, sale sui bastioni della Torre. 

Qualcuno urla stupito: “è lì, sulla cima della Torre!”

Il vuoto. Il fumo che sale, misto ad odore di cenere e morte. Ortensia è vestita di bianco. La luna è piena, il cielo ugentino di luglio sgombro di nubi. La luce della luna illumina Ortensia, rendendola quasi spettrale…

“Nessuno mi avrà!” urla la giovane donna.

Ortensia salta nel vuoto. Il tonfo. Ed il silenzio.

I turchi, a questo punto decidono di tornarsene a casa. Prima di farlo rivogliono indietro le ceneri del loro comandante ed il corpo di Ortensia, che tanto lo aveva amato.

Mentre il naviglio turco veleggia verso il Mediterraneo orientale, ad un certo punto un imbarcazione si ferma: vicino all’ultimo scoglio che fa parte delle famigerate “Secche di Ugento” tra le attuali Lido Marini e Torre Pali, viene avvolto il corpo di Ortensia in un sacco di iuta, e lì gettato…ultimo estremo ed affettuoso omaggio dei turchi alla ugentina, che tanto amò il loro comandante…

Da allora, e per sempre, quello scoglio prese il nome di Isola della Fanciulla: a detta dei nostri pescatori, sembra che nel 1800 venne rinvenuto il corpo integro di una fanciulla ormai morta, bella ma con un vestito bianco strano…

E sembra che nelle notti quando forte tira il vento di maestrale e ci siano mareggiate se ci si reca nei pressi dell’Isola della Fanciulla si senta un suono, molto simile ad un pianto umano…ed ai nostri pescatori piace pensare che sia il lamento di Ortensia che, dopo secoli, piange ancora per il suo amore e per il suo principe di Trebisonda.

Naturalmente, dopo giorni i turchi si vendicheranno: pascià Lustembai pianse la perdita di un generoso amico e di un fidato comandante e disse “radete al suolo, bruciate, massacrate ed uccidete più che potete questa gente ugentina…senza fede e senza sacramento!”…il 4 agosto del 1537 un contingente turco di 3000 uomini saccheggiò, bruciò e rese schiava la popolazione di Ugento.

Ma questa, è un altra storia. Nella storia.”

Angelo Minenna

 

2 risposte

  1. FRANCESCO D'AMATO ha detto:

    Meglio un morto in casa che non Ugentino dietro la porta

  2. S.G. ha detto:

    Bella storia, scritta bene, con ritmo e senza appesantire. Non la conoscevo. Cercherò di sentire, quest’anno, i lamenti di Ortensia…

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