Il Salento nella poesia, i versi di Vittorio Bodini
Scrivo in una sera di fine novembre, riscaldata dal tepore del fuoco nel caminetto. Tra qualche giorno anche a casa ci sarà l’albero di Natale, i gomitoli di vicoli dei centri storici brilleranno tra le luci delle feste, le persone inizieranno a dondolare tra i negozi, alla ricerca del regalo perfetto. Saremo più felici ed inevitabilmente più malinconici, perché forse abbiamo qualcuno lontano o magari perché è arrivata di nuovo la fine dell’anno e ancora non abbiamo fatto pace con noi stessi.
Se vi state chiedendo se esiste un antidoto alla tristezza allora io vi posso rispondere che sì, secondo me esiste, ed è la poesia. Come la proverbiale mela, anche una poesia al giorno allontana la tristezza. L’ho sperimentato io stesso e allora per questo Natale voglio fare un regalo, voglio parlare delle penne poetiche del Salento che ancora poco si conoscono.
“Le donne portavano
Fichi e uva passa
In fazzoletti dai colori sbiaditi
Per il troppo lavarli”
(Lecce – Bari)
I versi sono quelli di Vittorio Bodini, il primo dei poeti di cui voglio scrivere. Classe 1914, Bodini racconta un Sud arcaico, di contadini e tradizioni. Congela nelle sue parole profumi e colori della sua terra, della sua Lecce che definisce “non un luogo della geografia ma una condizione dell’anima”.
A Lecce Vittorio Bodini cresce, protetto dall’ala del nonno Pietro Marti, amante della cultura e delle lettere. Si sposta a Roma e poi arriva in Spagna ed è qui che ritrova le tonalità che gli sono famigliari e il ritmo della controra estiva. “Io sono quasi uno spagnolo: sono un italiano del Sud” scrive lui stesso.
L’impressionismo meridionale dei suoi versi racconta voci antiche e penetranti, contadini che si muovono sullo scenario delle piazze, la cultura della semplicità, delle case bianche di calce che contrastano contro il blu del cielo. E di contrasti nella poesia di Vittorio Bodini ce ne sono tanti, perché il cantore del Sud non nasconde un’insofferenza che a tratti lo assale, verso quella terra ancora troppo aspra.
“Quando tornai al mio paese del Sud
Io mi sentivo morire”
(Foglie di Tabacco, 1945 – 45)
Vittorio Bodini racconta il Sud attraverso le sfumature della parola, utilizza un tempo lento che come in fotografia restituisce un’immagine ricca di dettagli, dalle tinte pastello. Il suo canto è malinconia e ironia, l’amore verso una terra che non si sceglie ma da cui si può fuggire e alla quale si può aver voglia di tornare.
“Tu non conosci il Sud, le case di calce
Da cui uscivamo al sole
Come numeri dalla faccia di un dado”
Scrive nella sua poesia più nota, per esprimere proprio questa sensazione di chi il Sud non l’ha voluto ma gli è capitato.
La penna di Vittorio Bodini racconta una terra acre come tabacco, in cui tramonti rosso sangue si inabissano tra gli uliveti. Ci restituisce una fotografia d’altri tempi, in cui la società arcaica e contadina rimane sullo scenario del barocco, scolpito nella friabilità della pietra leccese. La parola diventa per lui simbolo della condizione umana e raccontando della sua casa racconta di sé e dell’umanità.
I pomodori secchi
attaccati a uno spago
e le donne dai cuori di cicoria.
I pomodori secchi e i datteri gialli,
e le donne che colgono le olive
fra gli olivastri, con la bocca viola;
tutto è univoco e perso a furia d’esistere.
Dove hai nascosto, cielo, l’altra ipotesi?
Quale parte è la nostra?
Non saremo null’altro
che rozzi testimoni di questo esistere?
(Vittorio Bodini, inediti 1954 – 1961)
Questo e molto altro era Vittorio Bodini, il cantore del Sud.
Questo Natale regalatevi la parola, i versi disposti in maniera ordinata, le metafore che giocano a nascondino. Io continuerò a raccontarvi i poeti del Salento, voi regalatevi poesia. Fa bene al cuore, fa bene all’anima.